L’ordinanza n. 26212/2015 del Tribunale di Milano ha accolto, ma senza reintegro, l’impugnazione di un licenziamento comminato per “troppe malattie”, senza però che si superasse il periodo di comporto. Il dipendente, che si era assentato per motivi di salute per più di 800 giorni su 1.500, era stato licenziato per “giustificato motivo oggettivo” in quanto, a detta del datore di lavoro, l’attività svolta dal lavoratore durante i giorni in cui era presente risultava sostanzialmente inutile per l’azienda.
Il Tribunale, pur ribadendo la legittimità del licenziamento in caso di inadeguatezza della prestazione lavorativa, ha rilevato che, nel caso in oggetto, il datore non ha fornito nessuna prova del fatto che le prestazioni del lavoratore, nei giorni di presenza, fossero davvero inadeguate. Tuttavia non ha previsto il reintegro del lavoratore stesso, ma soltanto la tutela risarcitoria prevista dalla Legge Fornero (92/12), in quanto in ogni caso il comportamento “assenteista” del lavoratore è sussistito.
Più in generale, questione fornisce l’occasione per riflettere su un problema molto sentito nella quotidianità delle imprese di pulizia, servizi integrati e multiservizi. Parliamo dello “scarso rendimento”, che per essere accolto come giustificato motivo deve necessariamente essere provato dal datore. Affinché si configurasse un “giustificato motivo”, in sostanza, il datore avrebbe dovuto fornire prove. D’accordo, ma come avrebbe potuto farlo? Cerchiamo di capire.
Come provare lo “scarso rendimento”?
In relazione al cosiddetto scarso rendimento, va ricordato che il datore di lavoro che intenda farlo valere quale giustificato motivo soggettivo di licenziamento, ai sensi dell’articolo 3 legge 604/66, non può limitarsi a provare il mancato raggiungimento del risultato atteso ed eventualmente la sua oggettiva esigibilità, ma è onerato dalla dimostrazione di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del lavoratore, quale fatto complesso alla cui valutazione deve concorrere anche l’apprezzamento degli aspetti concreti. Alcuni esempi potrebbero essere: violazione della diligente collaborazione, manifesto atteggiamento di negligenza oppure documentata comparazione tra i risultati produttivi dello stesso dipendente con il rendimento medio dei suoi colleghi. In tale prospettiva, affinché si configuri l’inadempimento per scarso rendimento, è necessario che tra i risultati del lavoratore e quelli degli altri vi sia una “enorme sproporzione”, cioè uno scarto molto significativo, che dimostri in modo oggettivo ed inequivocabile la mancanza di diligenza. Quest’ultima, infatti, è stata indicata dalla giurisprudenza come “evidente violazione della diligente collaborazione dovuta dal dipendente e a lui imputabile in conseguenza dell’enorme sproporzione fra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione per il lavoratore e quanto effettivamente realizzato nel periodo di riferimento, avuto riguardo al confronto dei risultanti dati globali riferiti ad una media di attività tra i vari dipendenti”. Si veda a tale proposito, fra le tante, anche la sentenza Cassazione del 1 dicembre 2010 n. 24361.