Come sappiamo, le assenze per malattia sono uno dei problemi maggiormente sentiti dalle imprese che lavorano in un settore “labour intensive” come quello delle pulizie/ servizi integrati/ multiservizi. A questo proposito, di recente, la Corte di Cassazione si è espressa con due sentenze estremamente interessanti.
Iniziamo dalla prima, la n. 15226 del 22 luglio: in questo caso si tratta del ricorso proposto da una lavoratrice contro il licenziamento disciplinare intimatole dall’azienda. Nel caso in esame la dipendente, assente dal lavoro dal 30 agosto al 7 settembre 2012, non si era accertata che da parte del medico fosse avvenuta la trasmissione telematica del certificato all’Inps. Il recesso era motivato sulla base dell’assenza ingiustificata dal 30 agosto 2012 al 7 settembre dello stesso anno, nonostante la lavoratrice avesse evidenziato che il 30 agosto si era recata dal proprio medico di base per ottenere un’ulteriore certificazione di malattia in prosecuzione di quella scaduta il 29 agosto. In tale occasione che, a causa dell’assenza del medico curante, la sua sostituta aveva provveduto a trasmettere dal proprio domicilio al sito dell’Inps la certificazione di malattia riguardante il periodo indicato, ma tale certificazione non era mai pervenuta all’istituto, né risultava dagli atti, al di là di quanto riferito dal medico, alcuna prova del fatto che questi ne avesse in effetti tentato l’invio telematico. A questo proposito la Cassazione, richiamando quanto già messo in evidenza dall’Appello, ha ribadito che tra gli obblighi del dipendente non c’è solo quello di avvisare con tempestività il datore di lavoro, ma anchecontrollare l’effettivo azionamento da parte del medico della procedura di trasmissione telematica del certificato, anche eventualmente richiedendo il numero di protocollo telematico identificativo del certificato/attestato di malattia.
Altrettanto interessante, nemmeno un mese dopo, la sentenza 17113/16: in questo caso siamo di fronte a una condotta, tenuta dal dipendente, palesemente incompatibile con la malattia accertata dal medico curante. “Simulazione fraudolenta dello stato di malattia” sono le dure parole utilizzate dai giudici, dopo che l’azienda, che era arrivata addirittura a rivolgersi a un investigatore privato (cosa ritenuta legittima), aveva accertato che da parte del lavoratore vi erano stati spostamenti e comportamenti palesemente in contrasto con lo stato di malattia lamentato. E a nulla vale la presenza di documentazioni mediche attestanti la patologia: per gli “ermellini”, infatti, che hanno dato ragione ai giudici di merito, l’azienda ha tutta la facoltà di contestare certificati e accertamenti sanitari presentati dal dipendente e, in aggiunta, anche di investigare sulla condotta del lavoratore estranea allo svolgimento della prestazione qualora esse possano compromettere il corretto adempimento della prestazioni stesse. La sentenza rappresenta un importante precedente in fatto di “certificati generosi” che spesso i medici emettono in modo troppo facile e in aperto contrasto con la realtà oggettiva dei fatti.